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Se è vero che, nel vasto ambito di indagine filosofica che nel Novecento è venuto a definirsi come "filosofia esistenziale", Lev Sestòv rappresenta una figura estremamente decentrata e isolata, soffermarsi sulle questioni sollevate dalla riflessione sestoviana significa nondimeno tornare ad interrogarsi in certo modo "sulle radici" del pensiero esistenziale stesso. Senza spingersi ad affermare che il filosofo russo possa essere considerato un vero e proprio padre dell'esistenzialismo, resta comunque fermo che in Sestòv emergono con decisivo vigore quelle peculiari esperienze spirituali, le esigenze poste dall'umanità vivente al di sopra o addirittura in esclusione del "paradigma oggettivante" della filosofia tradizionale che costituiscono gli orientamenti primigeni della filosofia dell'esistenza. Sotto le insegne di questa radicale tensione ad esprimere l'esistenzialità, ad affermare la sua indipendenza da ogni orizzonte speculativo di inclusione in un universale comunque inteso, la dirczione intrapresa da Sestòv è stata - almeno da un certo momento in poi - quella della rigida antinomia Atene-Gerusalemme.